Lunedì, 13 Luglio 2009 15:13

Mary, ghanese. Una testimonianza

Scritto da  Gerardo

Riproponiamo su queste pagine l'articolo di Michele Smargiassi dal titolo Ero straniero e mi avete accolto, apparso su "la Repubblica" del 12/7/2009.
"La parola clandestino mi fa orrore", dice Mary. "È un odio semantico", commenta Smargiassi, un odio il cui significato sembra risiedere nella parola stessa: clan/destino. Come dire, il tuo destino è il clan…



Ero straniero e mi avete accolto

"La parola clandestino mi fa orrore", dice Mary, ghanese, ex-irregolare ora a posto con la legge: "Vuole significare che non sarai mai un cittadino vero". Oggi le nuove norme impongono di denunciare chi non ha permesso di soggiorno Ma in molte chiese d´Italia i preti ignorano questo precetto. In nome di uno più alto: quello dell´evangelista Matteo. A Castel Volturno, primo girone dell´inferno dei migranti, i comboniani danno asilo a tutti. Un foglio azzurrino rilasciato "in nome di Dio". È la protesta simbolica escogitata dai sacerdoti.


CASTEL VOLTURNO (Caserta)
Più conosce l´italiano, più Mary odia quella parola. «Clandestino. Mi fa orrore». Non è solo questione di brutti ricordi, è proprio un odio semantico. «Clan/destino: il tuo destino è il clan, non sarai mai un cittadino vero». L´etimologia di Mary è bizzarra, ma suggestiva. «È l´unica vera parola che troppi italiani hanno per noi. Anche quando dicono regolari, pensano clandestini: restate al vostro posto, nel vostro clan, non siete come noi».
A volte Mary si sente ancora clan/destina come all´inizio. Venne dal Ghana col visto turistico e, quando scadde, restò. Ha avuto fortuna: prese al volo una delle ultime sanatorie. Ora fa l´interprete per un´associazione che assiste i rifugiati politici, ha due figlie, una casa dignitosa e paga un affitto. Ma non ce l´avrebbe mai fatta se un buon samaritano, senza frugarle le tasche in cerca di documenti, non l´avesse ospitata e aiutata. Mary è stata la prima tra le migliaia di immigrati che padre Giorgio ha accolto da quando, tredici anni fa, reduce dalle missioni africane, scelse di farsi missionario nell´Africa nostra, la gran piana dei pomodori e dell´illegalità, il primo girone dell´inferno migrante italiano: Castel Volturno.
E padre Giorgio dov´è? «In stanza». Quella che sulla porta ha una foto di Auschwitz. Bussiamo. Eccolo: barba, camiciona arancione, sta timbrando permessi di soggiorno. Col timbro del Signore. Non può certo usare quello del ministro. «Ma stiamo parlando di dignità umana, no? E allora è chiaro, tra le due, quale sia l´Autorità più Competente». Compila, controfirma il foglio azzurrino: ecco, un altro permesso di soggiorno in nome di Dio è pronto. Lui e i suoi confratelli ne hanno rilasciati a centinaia: protesta beffarda e amara, ribellione simbolica e un po´ goliardica. A prima vista sembrano quelli veri, però è difficile che un questore li prenda per buoni. Ma valgono qualcosa dinanzi a un Giudice più alto.
Per qualcuno, pochi, è un profeta in sandali. Per altri, tanti, è quello che «ci porta in casa i negri». Per se stesso Giorgio Poletti, 67 anni, comboniano e sacerdote, è «un devoto della Legge», occhio alla maiuscola, a costo di sfidare la legge, occhio alla minuscola. «Non denuncerò nessuno straniero senza documenti. Una legge contraria ai diritti umani e all´insegnamento di Cristo, io non la servo. Mi mettano pure in galera. E guardi che io non ho nessuna voglia di andare in galera. Non sono un incendiario. Sono figlio di povera gente che aveva soggezione e rispetto per l´autorità. Quel rispetto ce l´ho dentro. Ma c´era da scegliere, e io ho scelto».
La chiesa di Santa Maria dell´Aiuto è una gabbia di cemento armato tamponata di mattoni, ma dentro è sorprendentemente luminosa. Di fianco all´altare una batteria e un set di tamburi afro. «Le nostre messe durano un paio d´ore. Anche adattare il nostro stile liturgico è accoglienza». Sulle pareti intonacate, affreschi a vivi colori. «Li ha dipinti un ungherese. Non è Caravaggio, ma dà l´idea». Un Gesù biondo lava i piedi a un san Pietro nero. Un Samaritano nero soccorre un viandante bianco. E l´Ultima Cena è una mensa multietnica. È la parrocchia degli immigrati: il vescovo di Capua l´ha affidata a padre Giorgio e ai suoi due vicari, padre Antonio e padre Claudio. Forse è l´unica in Italia a non avere un territorio ma solo un gregge, il più disperso, anonimo e mutevole. Lavorano alla raccolta dei pomodori, nei cantieri, «arrivano, restano un po´, spariscono. Di molti neanche ho mai saputo il nome». Sul sagrato, sotto lo sguardo preoccupato di una madonnina di pietra, due ragazzi color ebano tirano rigori con un pallonaccio giallo. Altri si stanno preparando il giaciglio nel parcheggio, tra panni stesi e vecchi materassi. «Adesso fa caldo, ma quest´inverno li ho fatti dormire in chiesa. Il Signore avrà gradito la compagnia, di notte è sempre solo là dentro».
Quando arrivò a Castel Volturno, nel ‘93, padre Giorgio dovette trovare una mezza dozzina di case d´emergenza. Solo qualche anno fa la Caritas lo ha seguito aprendo un centro d´accoglienza, che però è sempre pieno. Quanti avranno i documenti, di questi? «Io non li chiedo a nessuno. Così evito di sapere chi dovrei considerare un delinquente». Chiediamo a caso: ecco Joe il senegalese, sbarcato a Lampedusa in marzo lasciando in Libia moglie e due figli, arrivato chissà come fin qui a far lavoretti. Carte non ne ha, ma padre Giorgio gli ha trovato un riparo: «Sono un cristiano», dice in un inglese cantilenante, «lo ero anche prima. Ma qui ho capito cosa vuol dire».
L´opposizione alla «legge del dolore», al reato di clandestinità, soffia all´ombra di centinaia di campanili come questo. Il ministro può far arrestare l´istigatore, è molto noto, si chiama Matteo e il suo proclama sta al capitolo 25, versetto 35 del suo Vangelo: «Ero straniero e mi avete accolto». La disubbidienza matura sottovoce dove la porta non si chiude neanche per ordine di legge. «Dovrei chiudere anche questo?»: il cancello dell´asilo dei comboniani immette in un cortile gremito di bambini color cioccolata tra casette di plastica e scivoli. Sono una cinquantina: ben pochi dei loro genitori hanno il permesso di soggiorno. Con la nuova legge sarebbero ignoti all´anagrafe, figli di nessuno. I rari italiani che passano davanti al recinto, sorridono e fanno smorfiette ai bimbi. Allora non siamo tutti malati di cattivismo. «I bimbi africani sono bellissimi», sospira padre Giorgio, «ma hanno un difetto: crescono. E da grandi nessuno li trova più così teneri».
Da grandi sono i clandestini, appunto. Moderna icona della paura, reincarnazione dell´eterno barbaro, del turco predatore. E voi, padre, siete i protettori di quell´icona terrificante. «Mi chiamano ‘il nemico numero uno di Castel Volturno´. Ma mi rispettano, perché sanno che non mangio sugli immigrati». Ma ora il suo aiuto è illegale. «Una condizione anagrafica non può essere un reato». Il reato veramente sarebbe entrare in casa d´altri senza bussare. «Ma cosa credono, i ministri? Che basti alzare il ponte levatoio? Anche se si potesse, che vita sarebbe, chiusi nella fortezza, armati, terrorizzati dall´arrivo dei tartari ogni santo giorno, schiavi dei riti della nostra paura?».
In cornice, una foto con papa Wojtyla che stringe la mano a un irsuto Rasputin in saio nero: era lui, Giorgio, nel 1989, missionario a Beira in Mozambico. «È un´illusione pensare di poter fermare le migrazioni. Le abbiamo coltivate noi. So quel che dico. Ho visto arrivare i televisori con la parabola e il generatore nei villaggi, e scodellare là il nostro finto benessere. Chi può impedire loro di venirlo a cercare? Bisogna regolare l´accoglienza, io dico: organizzare l´ibridazione. Ma vedo solo una gran fretta di organizzare l´esclusione».
Non ce la farete, padre. Vi faranno passare come amici dei delinquenti. «In chiesa io grido contro gli spacciatori di droga. Chi sbaglia, pagherà. Io sono contro l´illegalità. Ma non capisce che è proprio questo il problema? Venga con me». Saliamo in macchina. La via Domiziana è il museo dell´orrore di un sogno balneare abortito. Ventisette chilometri di palazzine cadenti, alberghi chiusi, acquaparchi fatiscenti, cassonetti sventrati, sporcizia, spiagge deserte in pieno luglio: sembra Rimini dopo un bombardamento. Ed ecco la saracinesca, ora chiusa, dietro cui in settembre sei ghanesi furono falciati dalle mitragliette della camorra. «Non c´è quasi edificio che non sia abusivo, perfino quella chiesetta lì. Potrei citarle a quale clan fa capo ogni isolato. Il bene pubblico qui non esiste. In questo scenario, però, gli illegali sarebbero questi uomini che inseguono un sogno di vita migliore. Vuol dire consegnarglieli in regalo, all´illegalità».
La vera, segreta speranza di padre Giorgio «è l´ipocrisia del potere. Che sia solo una esibizione di muscoli per propaganda, che non stiano davvero per rastrellare migliaia di poveri. Perché allora bisognerebbe fare qualcosa di più eclatante». Sicuro che Dio voglia questo, padre? «Gesù di Nazaret fu ammazzato per aver amato gli ultimi. Se il Padre somiglia al Figlio…».

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